. Mari e coste: appello Wwf "Ridurre subito i fattori di pressione"

Mari e coste: WWf lancia appello “Ridurre subito i fattori di pressione”

ambiente marino –  Dalla pesca al turismo alle attività militari, non c’è solo il cemento a mettere a dura prova coste e mari italiani.

Ad analizzare i tanti fattori di pressione sull’ambiente marino è il nuovo dossier lanciato da Wwf dal titolo “Italia: l’ ultima spiaggia – Lo screening dei mari e delle coste della Penisola”, che fa un’analisi approfondita valutando soprattutto otto settori specifici.

Si parte dall’analisi dei 1.860 km  di tratti lineari di costa più lunghi di 5 km del nostro Paese (isole comprese) ancora liberi e con un buon grado di naturalità (il 23% dei nostri litorali, su complessivi 8.000 km circa) e puntiamo su quattro grandi aree strategiche per la biodiversità dei nostri mari: la zona tra il Mar Ligure ed il parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, il canale di Sicilia, il Mare Adriatico settentrionale e l’area del canale di Otranto nell’Adriatico meridionali.

“E’ qui infatti che si concentra la maggiore ricchezza delle nostre risorse marine e costiere – spiegano i responsabili del Wwf -. La loro tutela ci porta sulla rotta di un’economia blu sostenibile insieme al contenimento significatmare oceano ambiente marinoivo dei fattori di pressione e degli impatti ambientali a mare (delle attività economiche di ricerca e coltivazione di idrocarburi, trasporti marittimi, dragaggi, turismo, pesca, acquacoltura, impianti da fonti rinnovabili offshore, attività militari) e a terra causati da uno sviluppo urbanistico che ha divorato 10 km  lineari di coste l’anno per 50 anni”.

Il dossier chiede esplicitamente di invertire le tendenze che negli ultimi 50 anni ha visto sorgere una barriera di cemento e mattoni lunga 2000 km (un quarto delle nostre coste) e che vede nei nostri mari il 25% della piattaforma continentale italiana interessata da attività di estrazione degli idrocarburi (con 122 le piattaforme offshore attive e 36  istanze per nuovi impianti), il trasporto via mare fare  dell’Italia il Paese in Europa (dopo Olanda e Regno Unito) per quantità di merci containerizzate movimentate, uno sviluppo turistico che vede il 45% dei turisti italiani e  il 24%  di quelli stranieri scegliere le nostre località costiere, un’attività di pesca in caduta verticale, visto che il 93% dei nostri stock ittici sovra sfruttato, e la proliferazione di impianti di acquacoltura (in 10 anni aumentati in Italia del 70%).

Il dossier del WWF, fotografa la situazione attuale e indica le aree più ricche dal punto di vista ecologico da cui partire per salvare i nostri mari grazie alle elaborazioni contenute nello studio MedTrends, coordinato dal Mediterranean Programme Office del WWF Internazionale, in coerenza con le linee di intervento comunitario per la pianificazione dello spazio marittimo:

Mar Ligure e Arcipelago Toscano (dove la grande ricchezza di plancton favorisce un’elevata concentrazione di cetacei, come testimoniato anche dall’tartaruga - mareistituzione del Santuario internazionale dei Cetacei “Pelagos”);
– il Canale di Sicilia (con montagne sottomarine dove si trovano cumuli di coralli bianchi e zona di deposizione delle uova per tonni, pesci spada e acciughe e area di nursery dello squalo bianco);
Mare Adriatico settentrionale (che vede una delle popolazioni più importanti di tursiopi del Mediterraneo ed è una delle aree di alimentazione più importanti della tartaruga marina Caretta caretta, zona di riproduzione della verdesca e dello squalo grigio),
– Canale di Otranto Mare Adriatico meridionale (dove ci sono habitat importanti per lo zifio, il diavolo di mare, la stenella striata, la foca monaca e il pesce spada).

Anche nella nostra fascia costiera non bisogna ridursi all’ultima spiaggia – sottolineano al Wwf -. Negli ultimi 50 anni, come documentato nel dossier WWF, grazie agli studi dell’equipe coordinata dal professor Bernardino Romano dell’Università dell’Aquila, la densità dell’urbanizzazione in una fascia di 1 km dalla linea di costa è passata nella Penisola dal 10 al 21%, mentre in Sicilia ha raggiunto il 33% e in Sardegna il 25%. Tra il 2000 e il 2010, secondo l’ISTAT,  sono stati costruiti 13.500 edifici, 40 edifici per Kmq, nella fascia costiera di un km dalla battigia (nei versanti tirrenico e adriatico) e più del doppio sulla costa jonica.  E se il ritmo delle nuove edificazioni fosse quelle registrato tra il 2000 e il 2010, nei prossimi 30 anni avremmo  su scala nazionale almeno altri 40.500 nuovi edifici nella fascia di 1 km dalla battigia”.

Se la maglia nera della densità urbanistica (con indici di urbanizzazione che vanno dal 50domus de maria localita mare turismo al 60%) è da assegnare al versante tirrenico (con quasi tutta la costa della Liguria, il Lazio centro-meridionale e la Campania centro-nord) e al settore emiliano-romagnolo/marchigiano/abruzzese del versante adriatico, c’è da notare che il sistema dei 100 parchi e riserve e degli oltre 200 siti costieri della Rete Natura 2000 costituisce un argine alla espansione edilizia.

Nel dossier Italia: l’ultima spiaggia il WWF indica anche quali possano essere  gli strumenti istituzionali per salvare le coste e i mari italiani.

Si chiede innanzitutto:
una moratoria della nuova edificazione nella fascia costiera, sino a quando non saranno approvati i piani paesaggistici in tutte le Regioni, e il blocco dei rinnovi automatici di tutte le concessioni balneari, come richiesto dalla Corte di Giustizia europea, sino a quando l’Italia non si doterà di una normativa che preveda l’obbligo di gara
uno stretto coordinamento operativo tra i ministeri, le regioni e i comuni, non solo nell’implementare la strategia nazionale marina, integrandola con i piani di gestione dello spazio marittimo, richiesti dall’Europa, ma nel fare del Santuario internazionale Pelagos un’area di effettiva tutela dei cetacei, al di là dei confini dei singoli Stati (Italia, Francia e Principato di Monaco).

08 agosto 2016

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