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10 buone pratiche per salvare il mare e la terra: impariamole a Slow Fish

buone pratiche – In mare con i pescatori e in cucina con i cuochi. Anche questo è Slow Fish a Genova nell’area di Porto Antico dal 9 al 12 maggio.
Giunta alla nona edizione la manifestazione chiama a raccolta tutte le persone che hanno a cuore le sorti del pianeta e le invita raccontarsi, confrontarsi, mettersi in rete, superare insieme le problematiche e agire a partire da un principio che tutti condividiamo: il mare inteso come bene comune.

E l’amore per il mare e la terra ci permettono di scoprire le buone pratiche che pescatori, esperti, artigiani, cuochi e grandi aziende presenteranno in occasione dell’evento.

Le buone pratiche in mare: i pescatori

1. Reti realizzate con materiali organici

Il 20% delle plastiche ritrovate in mare sono reti di nylon, attrezzi da pesca abbandonati, galleggianti, casse utilizzate per lo stoccaggio e altri strumenti utilizzati dai pescatori. È proprio da qui che si deve partire per invertire la rotta.

Dalla Liguria alla Sicilia, dalla Puglia alla Tunisia, sono molte le comunità presenti a Genova che raccontano le loro pratiche di pesca basate sull’utilizzo di materiali naturali (e biodegradabili).

In alcuni casi si tratta di una tradizione mai variata, come per le nasse di giunco dei pescatori siciliani, cui fanno eco i referenti tunisini del Presidio delle isole di Kerkennah, dove si preserva la charfia, una sorta di labirinto fisso costruito allineando migliaia di foglie di palma, che grazie alle correnti indirizza i pesci verso le camere di cattura. In altri scopriamo scelte di sostenibilità dei pescatori che hanno abbandonato la plastica a favore delle fibre naturali, come per i mitilicoltori tarantini che utilizzano la canapa coltivata nel parco archeologico di Taranto, o i pescatori di Camogli, che avviano la stagione della pesca tessendo a mano la fibra di cocco che a fine stagione viene abbandonata in mare.

2. Le dimensioni delle maglie

Per pescare il pesce giusto ci vuole la maglia giusta, perché se troppo stretta potrebbe catturare esemplari giovanili prima che raggiungano la maturità e possano quindi riprodursi. La legge impone determinate misure, in base alla specie oggetto della battuta di pesca, ma c’è chi va oltre. Torre Guaceto è un’area marina protetta di 2200 ettari, divisa in tre zone: riserva integrale, balneazione e visite guidate, pesca artigianale. I pescatori che operano in quest’ultima, per favorire la rigenerazione delle popolazioni ittiche dopo un fermo pesca di cinque anni, hanno dato vita a un protocollo condiviso: un’uscita a settimana e l’utilizzo di reti a posta fissa di tipo tramaglio a maglia larga (33 mm), per un massimo di 1000 metri. Un paragone? Pensate che i grandi pescherecci stendono reti lunghe diverse migliaia di metri.

3. La pesca elettrica

C’è una tecnica di pesca industriale che secondo i pescatori artigianali e gli esperti crea ancora più danni delle altre. Si tratta della pesca elettrica, che attraverso l’uso di elettrodi trasmette scariche elettriche nei fondali marini, provocando contrazioni muscolari nei pesci e costringendoli a risalire per essere raccolti con lo strascico. Gli organismi viventi del mare subiscono le brutali conseguenze di questo trattamento sotto forma di fratture, lividi e ustioni. Ma anche gli ecosistemi dei fondali, devastati dalle grandi reti elettriche, pagano un prezzo inaccettabile.

La buona notizia è che dopo anni di deroghe concesse dall’Unione Europea per “ricerca scientifica” ai Paesi del Nord Europa (Olanda in primis), grazie anche al supporto di Slow Food e altre organizzazione internazionali, il Parlamento europeo ha approvato lo scorso 16 aprile nuove misure tecniche di settore, tra cui anche la pesca elettrica. Il divieto di questa pratica distruttiva sarà effettivamente recepito dalle normative europee e in vigore dal 1 luglio 2021.

Le buone pratiche in cucina: gli chef

4. Specie aliene: quando un pericolo diventa una (ghiotta) risorsa

Non vengono da Marte ma semplicemente da un altro mare, a volte vicino a volte anche molto lontano, si spostano da sole o sono trasportate dall’uomo, anche volontariamente. Spesso sono innocue ma la maggior parte delle volte occupano un posto nella catena trofica che mette in difficoltà l’equilibrio dell’ambiente che (malvolentieri) le ospita. Stiamo parlando delle specie aliene, in gran parte pesci e più raramente alghe, che si possono trasformare da vero e proprio disastro ambientale in risorsa, anche gastronomica!

È il caso che ci raccontano i pescatori dei Caraibi con il pez leon proveniente dall’Oceano Pacifico, ormai una prelibatezza che si trova in tutti i ristoranti stellati dei Paesi latinoamericani, e gli chef che in Turchia hanno imparato a cucinare oltre 35 specie aliene commestibili nel Mediterraneo dell’Est.

E in Italia sono già arrivate? Sì e a Slow Fish ne assaggeremo delle belle, sia di mare che di acqua dolce…

5. I cuochi che tutelano la biodiversità e ci educano al consumo sostenibile

Divulgatori che usano testa e mani, attraverso una ricetta i cuochi raccontano territori, sistemi di produzione, culture che ci appartengono o che ci portano altrove.
Gli chef sono un ponte fra i pescatori e i consumatori, con le loro molte chiavi di lettura del mare e del mondo ittico e possono influenzare le nostre scelte di consumo, dal banco alla tavola, mostrando come si possa lavorare per tutelare la biodiversità, garantire più equità in tutte le fasi della filiera, dalla pesca alla ristorazione.

Ce lo racconta Antonio García-Allut, presidente della Fondazione Lonxanet, che in Spagna ha attivato le energie per riunire un gruppo di cuochi che sostengono quei pescatori che attuano una gestione attenta delle risorse ittiche. Con Restauramar i cuochi aderiscono a un vero e proprio codice etico e si impegnano a inserire nei loro menù il maggior numero possibile di esemplari provenienti dalla filiera.

E come lui anche i molti cuochi che nel loro ristorante si impegnano a utilizzare i prodotti dei Presìdi Slow Food segnalandoli nei menù e che a Genova sono protagonisti della Cucina dell’Alleanza e dei molti stand regionali, dalla Puglia alla Campania.

6. Olio esausto, il fantasma delle acque

Non se ne parla mai in termini di elementi inquinanti eppure il suo effetto sulle acque è devastante. Recuperare l’olio esausto, in casa come al ristorante, è una di quelle buone pratiche che non costano uno sforzo eccessivo ma i cui effetti sono sorprendenti. Basti pensare che 1 chilo di olio esausto può ricoprire una superficie stimata di 1 chilometro quadrato riducendo la penetrazione dei raggi del sole e il passaggio dell’ossigeno tra acqua e aria. La stessa quantità di olio esausto può rendere non potabile 1 milione di litri di acqua, alterandone il sapore.

Le buone pratiche a casa: noi consumatori

7. Le stagioni del mare

Anche il mare ha le sue stagioni e rispettarle conviene a tutti. Per esempio non si può entrare in una pescheria con la ricetta in mano cercando le acciughe in inverno, almeno non in Liguria. Rispettare i tempi del mare vuol dire lasciare che le specie si riproducano, ma anche assaporare un prodotto che si trova al livello massimo di esplosione di sapori e profumi e, infine, acquistare il pescato di cui c’è maggiore abbondanza in quel momento, che ci permette di scoprire gusti nuovi e anche di risparmiare.

8. Quando i pesci sono allevati

Molto spesso i banchi delle pescherie propongono pesci di allevamento, che sicuramente non riducono gli stock ittici e sono meno costosi. Purtroppo si tratta soprattutto di specie carnivore che per essere nutrite richiedono l’impiego di tantissimo pesce pescato, creando un controsenso nell’’essenza stessa dell’operazione. C’è poi il tema della concentrazione di molti esemplari in spazi limitati, che ne peggiora la salute e per cui c’è bisogno di ricorrere a trattamenti antibiotici. Senza parlare delle grandi quantità di deiezioni e di mangimi dispersi negli allevamenti intensivi, che cambiano lo stato chimico dell’acqua e danneggiano gli ecosistemi circostanti. Scegliamo allora le cozze, vongole e ostriche perchè questi animali, benché allevati, si nutrono dei microrganismi presenti nell’acqua, filtrandola, e non necessitano dunque di mangimi. È però necessario che il loro ambiente di allevamento sia sicuro per evitare che sostanze o batteri nocivi alla nostra salute siano filtrati e si accumulino poi nel loro organismo.

9. Bando alla plastica monouso

Dagli anni Cinquanta sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, pari a 158.670 Titanic di plastica. Di queste, inoltre, 6,3 miliardi, pari a 120.436 Titanic, sono diventati spazzatura. Con questo ritmo nel 2050 la quantità di plastica nei mari supererà quella dei pesci. Cosa possiamo fare noi? Dare ogni giorno valore alla plastica e non considerarla come un prodotto di scarto.

Non utilizzare prodotti monouso, come cannucce o bastoncini cotonati, piatti e posate, ancor prima del bando dell’Unione europea in atto dal 2021.

10. Tutti insieme possiamo cambiare rotta

Insomma, che sia quando si ha la fortuna di incontrare un pescatore, quando ci rivolgiamo al pescivendolo di fiducia in una grande città, quando siamo al ristorante o mettiamo in atto piccoli grandi accorgimenti nella vita di tutti i giorni, siamo noi ad avere in mano la chiave per cambiare davvero la rotta e garantire che il mare e le acque dolci siano e continuino a essere beni davvero comuni. Da lì arriva il nostro ossigeno, arrivano fonti di cibo e benessere per gli ecosistemi e la nostra salute. Proteggiamoli ogni giorno, anche quando ne siamo lontani.

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